Ieri è stata depositata la tanto attesa pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione in merito alla distinzione tra crediti d’imposta “inesistenti” e “non spettanti”. La sentenza delinea altresì le principali conseguenze derivanti da tale dicotomia, tanto sul versante dei termini di decadenza per l’accertamento, quanto su quello delle sanzioni amministrative applicabili.
In sintesi, la Corte ha statuito che:
- il credito utilizzato è inesistente allorché, congiuntamente, (a) sia il risultato, in tutto o in parte, di una artificiosa rappresentazione ovvero sia carente dei presupposti costitutivi previsti dalla legge ovvero, pur sorto, esso sia già estinto al momento del suo utilizzo; e (b) l’inesistenza non sia riscontrabile attraverso i controlli di cui agli artt. 36-bis e 36-ter del D.P.R. n. 600/1973 e 54-bis del D.P.R. n. 633/1972;
- ove sussista il requisito sub a), ma l’inesistenza sia riscontrabile in sede di controllo formale o automatizzato, il credito dovrà essere considerato come non spettante e si applicano, al riguardo, i termini ordinari per l’attività di accertamento. Inoltre, tale indebita compensazione è punita in via amministrativa con la sanzione del 30%;
- il termine di accertamento di otto anni di cui all’art. 27, comma 16, D.L. n. 185/2008, decorrente dall’utilizzo del credito, opera solo nelle ipotesi di inesistenza e, in tal caso, l’indebita compensazione è punita con la sanzione amministrativa dal 100% al 200% del credito;
- le definizioni e gli elementi costitutivi di crediti inesistenti e non spettanti sono le medesime in ambito tributario e in ambito penale.
Il principio di diritto espresso dalla Suprema Corte appare senz’altro condivisibile, anche perché consente di risolvere altre importanti ricadute pratiche scaturenti dalla distinzione tra inesistenza e non spettanza (ad esempio, in tema di riscossione provvisoria).
Tuttavia, mette conto evidenziare che lo schema di decreto legislativo in materia di procedimento accertativo, in attuazione della delega fiscale, rischia di rendere già in parte superata la pronuncia della Corte. Il testo del nuovo articolo 38-bis del D.P.R. n. 600/1973 prevede infatti un generalizzato termine di decadenza di otto anni dall’utilizzo del credito, a prescindere dalla sua inesistenza o non spettanza.